Profezia - Abbazia Benedettina di Finalpia

Abbazia Benedettina Finalpia
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Sogno o profezia
l. La singolare tensione tra tradizione spirituale dell'eredità classica e mondo benedettino   
Tra la grande e antica tradizione benedettina, imponente tradizione di una delle più grandi comunità religiose cristiane e la tradizione spirituale dell'eredità antica, sussiste necessariamente una singolare tensione, ma proprio una simile relazione di tensione può condurre a un accordo, a un fruttuoso accordo.

Una componente fondazionale della istituzione benedettina: la personalità di Benedetto.

Ma non è dopotutto, ci si può chiedere, una sorta di paradosso il fatto di parlare di un umanesimo benedettino ? Che cosa direbbe in proposito lo stesso S. Benedetto ?
Ora, Benedetto discende dalla nobiltà terriera umbra, come sembra; racconti posteriori fanno di lui perfino un rampollo dell'antichissima e nobile famiglia romana degli Anici. Circa sei secoli prima della sua nascita, nel II secolo a.C.., circoli dell'aristocrazia romana videro realizzato nello spirito greco quel modo umano che essi stessi cercavano di raggiungere nella loro vita. Allora, a tale riguardo, sembra essere stato coniato il bel termine humanitas, non innocuo nella sua indeterminatezza; tutte le formazioni spirituali e tutte le fatiche dotte dovevano valere come via per humanum, cioè per quello che deve essere un uomo decoroso e civile. Dal IV fino al VI secolo d.C. la nobiltà senatoria ha il più grande merito nello stesso campo: si tratta della conservazione dei classici romani e della traduzione e della diffusione dell’indispensabile letteratura greca, soprattutto della filosofia. Il salvataggio dell'eredità greca e con ciò la continuità della cultura intellettuale deve dunque ringraziare il filoellenismo di Roma, come ben dimostrano i due esempi.
Ma proprio allora, nel corso del VI sec., l'Italia e una grossa parte del resto del mondo occidentale furono sconvolte da una violentissima crisi, e cioè guerre gotiche, lotta dell'impero bizantino contro l'antica Roma, le invasioni dei Longobardi, etc. Dove trovavano il loro rifugio i tesori letterari fino ad allora conservati, gli antichi autori e gli scritti introduttivi alle cosiddette sette arti liberali, tanto quelle grammaticali quanto quelle matematiche ?
Nel 529 Benedetto aveva fondato sul Monte Cassino, sulle rovine di un antico Tempio di Apollo, il suo monastero. Il panico della fuga dal mondo cui il monachesimo orientale tendeva, ha qui lasciato il posto a un ordinamento stabile, in cui sicuramente vive qualcosa dell'antico spirito romano. Accanto alla preghiera è regolato il lavoro, manuale soprattutto, ma anche intellettuale.

2. Monte Cassino e Vivarium; Gregorio Magno
E d'altra parte la Regula Benedicti contiene sola la prescrizione della lectio divina, della lettura spirituale, nessun accenno a quelle litterae humanae che noi per l'appunto abbiamo evocato, alla conservazione e alla copia di libri come dovere monastico. Ora, poco dopo il 540, un po' più a sud-est di Monte Cassino, aveva luogo un'altra significativa fondazione monastica ad opera di un ricco proprietario di latifondi, la cui famiglia apparteneva da generazioni alla più alta nobiltà dei funzionari romani. Cassiodoro, il fondatore, non è diventato in prima persona monaco e il suo monastero di Vivarium non era sottoposto alla Regula Benedicti.
Il fondatore stesso ha dato al suo monastero delle regulae; le chiamò Institutiones, disposizioni per il lavoro spirituale. Una metà è dedicata proprio a quelle litterae humanae, e qui è fatto il passo decisivo per includere le sette arti liberali, le artes, nella formazione cristiana, anzi monastica.
Nell'altra parte del suo libretto sulle litterae divinae un capitolo concerne la sublimità del lavoro di copista. Sì, le mani, le dita dei copisti sono lodate come beate. Un monastero con una simile tensione educativa era qualcosa di completamente nuovo, e le Institutiones di Cassiodoro come disposizioni per la vita monastica fecero epoca.
Entrambe le fondazioni, però, caddero in un'epoca di violenza terribile, in un'epoca di distruzione senza misura, un furor e un terror paragonabile soltanto al nostro tempo. Monte Cassino fu distrutto per la prima volta nel 581 e Vivarium, il monastero di Cassiodoro, andò in rovina per sempre prima della fine dello stesso secolo. L'orrore del tempo emerge nel modo più terribile nelle lettere del papa Gregorio 1, che porta a buon diritto il nome di Magno. A differenza di Cassiodoro, Gregorio Magno, che discendeva veramente dall'antica famiglia nobiliare degli Anici, dichiarava le litterae humanae, le saeculares, cioè tutto ciò che è profano, futilità senza valore, nugae. Si situa interamente sulla linea del tardo Agostino e dello stesso S. Benedetto, di cui egli stesso scrisse una vita.
Osservando Roma proclama: "Roma è disabitata e in fiamme, il senato non c'è più, il popolo va in rovina. Ma perché parlare degli uomini quando vediamo come si diffonde l'opera della distruzione, gli edifici stessi scompaiono? La pentola in cui prima erano state consumate carne e ossa diventa rovente e si scioglie". L'unico pensiero di Gregorio era la salvezza eterna dell'uomo in un mondo che, come egli riteneva, stava morendo. Ma nelle sue frasi vive tutta la pompa dell'antica retorica ricevuta in eredità, in cui egli era stato istruito in giovinezza, coniugata con l'impeto veterotestamentario del profeta Ezechiele.
Gregorio non era solo un retore di antica statura, egli era - forse controvoglia, ma come strumento della provvidenza - uno dei grandi custodi dell'eredità antica, in quanto protettore dei Benedettini, la cui Regola i suoi inviati portarono fino ai lontani Anglosassoni (intorno al 600).
Non solo l'Italia, ma l'intero continente era raggiunto dal vortice di cruda violenza che eliminava la pacifica cultura. Non c'è alcun dubbio: i monasteri che a poco a poco sorgevano a partire dall'invasione dei Barbari e in seguito, in ogni parte dell'impero romano, anzi ancora più oltre, come in Irlanda, presero sotto la loro custodia l'educazione divenuta veramente gracile; tra questi i monasteri benedettini stanno di gran lunga in testa.
Dev'essersi dunque attuata, se così si può dire, una congiunzione tra la Regula Benedicti e le Institutiones di Cassiodoro. Ma io non so quando, né dove, né tramite chi questo sia avvenuto; ci si sorprende come di fronte a un prodigio. Ed è così che le Institutiones di Cassiodoro, dopo che furono entrate nell'ordo stabile, nell'organizzazione dei Benedettini, poterono divenire feconde. Eppure, e questo è particolarmente significativo, già nella regola fondamentale di Benedetto, nella sua semplicità, nella sua apertura mentale per ogni buona novità doveva essere predisposta la possibilità di una tale congiunzione.

3. La diffusione dell'istituzione benedettina in Europa (cenni)
Quei monaci furono davvero non solo i salvatori e i silenziosi custodi in una brutta epoca, ma anche i divulgatori del bene antico in vista di successivi giorni migliori; vie molto curiose e traverse furono percorse accanto alle prime, ma noi in questa sede non possiamo seguirle. Soltanto una cosa: quei monaci benedettini che Gregorio Magno aveva inviato da Roma in Inghilterra, giunsero in una terra che non fu toccata dalle invasioni barbariche; i monasteri da loro fondati, le scuole, le biblioteche, poterono svilupparsi indisturbati.
Dall'ordine benedettino provengono le due figure che svettano dal VII all'VIII secolo: Beda il Venerabile, che nei suoi scritti storici e anche grammaticali - molto raffinati - rappresenta il tipo dello studioso tranquillo; e accanto a lui Bonifacio, con il suo talento politico e organizzativo eccezionale.
S. Bonifacio ebbe sul continente un influsso più profondo di un qualunque inglese di una qualsiasi epoca. Tuttavia proprio questo grande organizzatore ecclesiastico in territorio franco e tedesco elogia la conoscenza delle arti liberali, scientiam artium liberalium; ha redatto egli stesso un'opera grammaticale e metrica, mostrandosi non poco atterrito quando precisamente nella nostra terra di Baviera ebbe l'occasione di sentire la formula del Battesimo nella forma: Baptizo te in nomine patria et filia et Spiritus Sancta; non sapeva neppure se questo doveva essere un battesimo valido. A S. Bonifacio si devono le fondazioni di monasteri quali Hersfeld e Fulda, anche se egli non ne effettuò personalmente la fondazione; questi monasteri avevano biblioteche con manoscritti di classici antichi di valore inestimabile, e avevano le loro scuole.

Nella successiva epoca carolingia, più sicura e centralizzata, Alcuino di York prosegue la nobile tradizione dei suoi confratelli, quella del suo conterraneo Beda nei suoi scritti e quella di Bonifacio nell'amministrazione ricca di successo. Dalla Schola Palatina in Aquisgrana egli rivolge la sua speciale attenzione alle scuole monastiche, e con lui inizia all'incirca intorno all'800 una vera aetas benedictina, come giustamente si è detto, un'epoca benedettina, che si estende dal IX secolo fino alla fine del XII.
Ora viene perfino sollevato il rimprovero che alcuni figli di S. Benedetto avessero meno presente la Regula del loro Padre che le Regulae Donati, cioè le regole della grammatica latina. E vedremo che questo rimprovero è diventato un luogo comune, un topos, che si ripete lungo la storia forse fino ai nostri giorni.

L'umanesimo del Rinascimento è molto debitore nei confronti degli ordini monastici, e in modo -particolare dei Benedettini. Se essi non avessero custodito l'eredità classica, coltivandola e diffondendola mediante l'attività di copiatura, Petrarca e i suoi successori avrebbero inutilmente intrapreso i loro viaggi di esplorazione. Gli umanisti hanno certamente aperto una nuova epoca con una sensibilità linguistica del tutto diversa per le opere poetiche, per esempio di Virgilio, e con una appassionata premura per la comprensione della natura umana individuale, ad esempio di Cicerone.
Ma questo rinnovamento degli studia humanitatis che andava diffondendosi dall'Italia è stato ripreso in molti modi dai monasteri e dalle loro scuole.

In realtà, una vera epoca di rinascita degli studi benedettini non ci fu in nessun luogo fuorché in Francia, dove lo spirito dell'umanisme dévot ne preparò la strada. La grande Congregazione dei Maurini chiamata col nome del discepolo prediletto dello stesso S. Benedetto, S. Mauro, formò nel XVII e XVIII secolo una silente schiera di dotti lavoratori, per lo più anonimi, che terminarono la monumentale edizione di tutti i Padri della Chiesa latini e greci iniziata da Erasmo. E per il Paese era ampiamente disseminato un numero non esiguo di loro eccellenti scuole laiche, cosa che per lo più si ignora. Il rimprovero - inevitabile, a quanto pare - non fu risparmiato nemmeno ai Maurini: lo spirito della preghiera si sarebbe spento a causa della scienza; pietà, semplicità, purezza dei monaci sarebbero state ridotte al nulla.
Ma tutto ciò fu confutato da Mabillon, probabilmente il più dotto di tutti i Benedettini. Egli congiunse nella sua persona la più profonda umiltà cristiana e la più alta dottrina, e in uno scritto specifico in giustificazione degli studi monastici (Traité des études monastiques, del 1691) ha lasciato - molto al di là dell'occasione di quel tempo - la più bella autotestimonianza dell'umanesimo benedettino.
La Rivoluzione in Francia, l'illuminismo in Austria la secolarizzazione nei Paesi che si trovavano sotto l'influsso di Napoleone, come la Baviera, spazzarono via, come un furioso uragano, i monasteri così come i collegi dei Gesuiti.
Le vicende delle soppressioni e del ripristino nel sec. XIX, fino ai mutamenti legati alle dinamiche vocazionali ed ecclesiali del secolo appena concluso, sarebbero da ripercorrere seguendo tracciati nazionali. Quanto qui ricordato basta per comprendere come la tesi dell'Autore che fin qui abbiamo seguito - e che ora riporteremo - sia universalmente nota e legata all'immagine comune dello stile di vita benedettino.
(Continua 1)
(Continua 2)
4. Cultura animi, cioè: illuminatio animi per sempre
Dietro alla sorte temporale, mutevole, si è rivelato, spero, qualcosa di duraturo, di indistruttibile: desinunt ista, non pereunt.
Il monachesimo benedettino, se non erro, ha tentato in tutte le epoche, fedelmente alla volontà del fondatore, di rispettare una giusta via media.
Non troviamo un’ascesi eccessiva, né fanatismo spirituale, né un rigorismo che rifiuta ogni cosa proveniente dall'esterno, bensì una caratteristica apertura, una recettività, come già si è detto. Un benedettino inglese, che ha scritto in modo molto convincente sul suo Ordine, ha osato parlare di una "libertà di spirito benedettina". A ciò è connessa la gioia per i libri e le realtà mondane e quella modesta hilaritas, quella gaiezza con moderazione, che in un certo qual modo è ammessa già nella Regula. Non è dunque poi così sorprendente, come pareva di primo acchito, che questo Ordine abbia raccolto, come nessun altro, proprio ciò che dagli antichi, come ad esempio Cicerone, era considerato la via per una vera civiltà umana, per l'humanum, vale a dire la formazione letteraria e gli studi eruditi.
Non è forse una evoluzione del tutto naturale il fatto che l'originario lavoro manuale, soprattutto l'agri cultura della prima famiglia di S. Benedetto, si sia trasformato in una cultura animi ?
L'antica humanitas era avversa ad ogni esagerazione ed eccesso, tendeva alla mitezza, alla pace interiore, alla letizia composta; aveva sempre fatto parte dei suoi doveri, dei suoi officia, il comunicare il possesso spirituale conseguito e il trasmettere ad altri la cultura animi.
Non è dunque un paradosso, per tornare alla domanda iniziale, parlare dell'umanesimo benedettino. Lo sguardo ai secoli del passato lo ha indicato come un fatto storico, e le considerazioni generali come qualcosa di assolutamente comprensibile e sensato. Ma soprattutto: trasmettere la cultura animi, coltivare l'anima umana, - la scuola benedettina ha adempiuto questo dovere, dalle scuole monastiche tardo antiche a quelle medievali fino al giorno d'oggi.

Non ci meravigliamo affatto se alcuni ne hanno abbastanza o, come si suol dire, la considerano "inattuale" ma proprio a quest'epoca, proprio a questo popolo, che così spesso distrugge il passato e si getta impetuosamente verso nude speranze di futuro, è dolorosamente necessaria la verità antica, duratura, che sfida il tempo; la migliore e la più bella della tradizione spirituale. ( ... )
Quella cultura animi, quella formazione umanistica, ( ... ) non deve essere un peso per la Loro memoria, un peso che un giorno getteranno via con leggerezza, bensì una illuminazione dell'anima, una illuminatio animi per sempre.

5. Sogno dell'oggi: lo scriptorium per un'accoglienza di alta qualità
Dal punto di vista sociologico, il mondo occidentale ha perduto le convinzioni e le sicurezze di una società tradizionale, premoderna. Esiste una posizione relativista sulle scienze attuali di tipo umanistico: filosofi, storia, psicologa, sociologia ed esiste, al contrario, un grande rispetto per le conoscenze e le ricerche di tipo tecnico e sperimentale tanto di quelle che sono centrate sul macrocosmo - natura della materia, sviluppo cosmologico, astronomia, controllo delle realtà materiali, origine della vita e spiegazioni dei fenomeni della natura - come di quelle che riguardano il microcosmo: origini della vita, struttura dei microrganismi, funzionamento del corpo umano, elementi che stanno alla radice dell'essere umano, la manipolazione genetica, il funzionamento del DNA.
L'occidente vive una esaltazione della techne e una svalutazione della sophia che producono uno squilibrio della psiche La constatazione più o meno diretta e profonda che i diversi gruppi sociali e i singoli individui possono avere di questo stato di cose, induce a uno smarrimento, una frantumazione di tutti i contenitori socio-culturali-religiosi, una perdita dei principi alla base di convinzioni, che prima potevano dare sicurezza e coerenza alla vita dei gruppi e degli individui. Risultato di questa situazione cosiddetta postmoderna sono un pluralismo e un individualismo estremi. Sono oggetto di dubbio i sistemi morali, si relativizzano le gerarchie sociali, e si svalutano gli ordinamenti e le strutture di convivenza elaborate nel passato. D'altra parte, i progressi tecnici dell'informatica sono tali che siamo passati dall'epoca dell'homo sapiens all'homo videns. Siamo nel mondo dell'immagine. Gli eventi succedono e sono conosciuti in tempo reale. Una notizia supera e cancella l'altra. Una catastrofe naturale appare accanto a un evento sportivo, la violenza più terribile è seguita da una informazione sull'andamento della borsa. L'accelerazione della modernità tecnica, casuale, mediatica, accelerazione di tutti gli scambi, economici, politici, sessuali ci ha condotto a una velocità di liberazione tale che siamo usciti dalla sfera del riferimento al reale e alla storia.
Oggi si parla ormai del "virtuale".
Tutte queste trasformazioni e capovolgimenti non possono lasciare indenni né le società né gli individui. La persona umana rischia di "vagare" perduta nella multiforme realtà che la circonda. Fuori dell'ambito gravitazionale che mantiene i corpi in orbita, tutti gli atomi si perdono nello spazio e seguono ciascuno la propria traiettoria fino a perdersi nell'infinito.
Non c'è bisogno di insistere sui tratti della postmodernità. Sono ben conosciuti. Vanno, però, ricordati, seguiti e approfonditi sempre di nuovo perché ogni comunità monastica può tendere a creare un mondo a sé, poco attento alla situazione umana e psicologica che segna i candidati di oggi e domani, che formeranno le nostre comunità nel futuro. Ogni monastero, invece, dovrebbe vivere nella consapevolezza del contesto socio-religioso in cui si trova ed essere preparato ad accogliere, dialogare, capire e promuovere queste persone che sono oggi come ieri chiamate alla salvezza e anche esse, come tutte le generazioni, sono in cammino verso Dio.

Le comunità, però, che non vogliono convertire il monastero in una fortezza, le comunità che sono aperte all'accoglienza e, senza alienarsi, desiderano seguire il passo del tempo; quelle comunità che con grande sforzo ed equilibrio si impegnano a una "negoziazione conoscitiva" con la realtà ecclesiale e sociale del momento presente, che accettano la regola sociologica dell'interazione e cercano di compiere le tre dimensioni dell'apostolato dei monaci - accennate nella legislazione della nostra Congregazione - più che una discussione teorica sulle caratteristiche del vero monachesimo, a mio avviso, dovrebbero orientare semplicemente le nuove generazioni verso una ricerca sempre rinnovata per raggiungere un livello più alto di qualità spirituale, umana e anche scientifica.
Il monastero dovrebbe diventare un focolare di accoglienza di alta qualità, ciò che suppone una dedizione dei più giovani a una ascesi dello studio, alla formazione personale più ampia e profonda, tale che possa dare nel futuro una testimonianza colta e saggia del loro essere monaci. In questo modo vedo un possibile passaggio dall'attività pastorale dei monaci nel senso di servizio parrocchiale, a una irradiazione monastica.

Vedo i monasteri del futuro impegnati nella formazione dei giovani e nell’esigenza di formare nella comunità piccole cellule, come seminari di studio e di sapienza che siano la vera espressione attuale del lavoro proprio della vita monastica. Oltre la lectio, con tutti i suoi valori in tanti modi esaltati, occorre uno studio serio della Scrittura, della teologia e delle scienze ecclesiastiche secondo i programmi a livello accademico. I monaci dovrebbero orientarsi, particolarmente, ad approfondire quel sapere fondato sullo studio delle lettere, del pensiero e della storia, che sono la base della cultura occidentale e della ricerca approfondita della Scrittura e della teologia. Un tale orientamento del lavoro nel monastero concentra l'attività dei monaci intorno alla biblioteca, stimola la responsabilità dello studioso e favorisce il silenzio e la stabilità necessari, d'altra parte, per una proficua irradiazione monastica.

- Guardando verso il futuro, immagino che molti dei nostri monasteri che portano alle spalle uno stile e una storia secolare, devono rinnovare il progetto di vita in un senso nuovo. Non basta l'esempio di una vita liturgica, né offrire una proposta di spiritualità, pur in accordo con il carisma monastico. Non è sufficiente dare un esempio di vita cristiana seria e intensa sostenuta da un lavoro simile se non identico a quello che si svolge fuori le mura del monastero. Occorre ricostruire lo scriptorium o il luogo dove si coltiva il sapere e la cultura, da dove si trasmette l'intelligenza della fede. I possibili candidati che bussano alla porta del monastero dovrebbero sapere che una intensa vita dello spirito va sostenuta, in comunità, da un intenso lavoro dello spirito e della mente, nel senso più esigente e più alto di quella cultura che è stata sempre sostenuta dallo studio humaniorum litterarum. Questo progetto di lavoro ben definito, questa riduzione delle attività dei monaci intorno a un perno di cultura e di sapere teologico potrebbe dare identità umana e religiosa alle comunità benedettine di stampo classico, con volontà di dialogo e con disponibilità di offrire un servizio pastorale alla chiesa.

- Certo, un tale progetto suppone risolvere il sostentamento della comunità forse con l'aiuto di altri tipi di lavoro. D'altra parte, non tutti i candidati devono essere in grado di corrispondere alle esigenze di uno studio serio e all'ascesi della ricerca. Nessuno, però, dovrebbe essere esente da una formazione veramente qualificata in un mestiere.
L'insieme della comunità dovrebbe sentire come sua quella attività centrale che si potrebbe definire come vero lavoro: la fides quaerens intellectum. Il monastero è infatti una scuola del servizio divino in cui si cerca Dio, una scuola non solo in senso moralizzante o spirituale ma in senso letterale e pieno di scholé, possibilità di riflessione, di studio, di ricerca, di sapienza. Tutta la comunità dovrebbe sentirsi coinvolta in una formazione continua che mantiene vivo lo spirito di tutti e che qualifica la preghiera e la lectio. Non so vedere il futuro dei monasteri dove si fa un po' di tutto, dove accanto al culto e alla lectio esiste una gestione della casa e una accoglienza in modo familiare, senza un nucleo centrale che raduni l'interesse, determini l'orientamento e qualifichi le persone.

- Una comunità così orientata non dovrebbe avere nessuna paura dell'epoca postmoderna. Anzi, credo che concentrare le forze comunitarie per creare un nucleo di studiosi qualificati sarebbe la risposta più eloquente a quella svalutazione della ragione propria dei nostri tempi. Davanti a un predominio della tecnica, i monaci coltivano lo studio delle lettere e della cultura classica, che si manifesterebbe anche nel gusto estetico di sistemare la casa.
Davanti ai dubbi e alle critiche del sapere storico, i monaci continuano a rendere vivo il patrimonio del passato, il patrimonio spirituale e il patrimonio culturale. Lo rendono vivo e lo sanno trasmettere a coloro che oggi ne sentono il bisogno. Davanti alla cultura dell'immagine, i monaci proseguono lo studio del libro o dei libri per eccellenza: le Scritture e il loro contesto storico. Davanti a una vita agitata e veloce che non ha tempo per afferrare gli eventi, i monaci studiano pazientemente le ragioni di quello che è capitato e di ciò che capita nel presente. Davanti alla perdita di ideali, del rispetto della civiltà, i monaci studiano le questioni fondamentali del senso del vivere, il perché, le questioni sull'origine e sul fine dell'esistenza umana. Le studiano e le vivono. Davanti alle sfide del sapere tecnico, delle scoperte biologiche e genetiche i monaci ne accolgono il valore e lo integrano sapientemente nella sfera del trascendente, del senso, della ragione prima e ultima di tutto, nell'economia divina della salvezza che Dio vuole per tutta l'umanità.

- Questo progetto di formare in ogni singolo monastero un nucleo di studiosi che qualifichino il vivere e l'agire di tutta la comunità, suppone che i monaci anche anziani si convertano al valore dello studio e alla formazione permanente per tutti. A questo punto serve la citazione di una frase significativa di Marguerite Yourcenar: "Fondare biblioteche è come costruire granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno che per molti indizi, mio malgrado, vedo venire". Chi dice "fondare biblioteche" dice ugualmente "studiare a fondo".

Per noi, in concreto, vuol dire formare monaci che umanamente diano consistenza, senso e progetto alle nostre comunità. Mi azzardo a dire che, in certo modo, i nostri monasteri sono chiamati oggi a un tipo di "pastorale" simile a quella svolta nel medioevo: trasmettere il patrimonio di fede e di cultura in un'epoca di transizione in cui c'è il rischio di perdere i valori religiosi e culturali che stanno alle nostre radici e che hanno dato, danno tuttora e daranno nel futuro senso e salvezza agli uomini e alle donne della nostra civiltà.

Così, i giovani deboli che si avvicinano alle nostre comunità, possono essere rinforzati da un progetto che mira al loro consolidamento spirituale e umano.  Se sono troppo portati dalla sensibilità, vanno aiutati a scoprire e a confrontarsi con uno studio e un pensiero forte. Se si presentano con una identità frammentata, la ricerca del patrimonio spirituale e culturale della nostra civiltà li renderà consistenti, sicuri nelle loro radici forse dimenticate. Se si trovano mancanti di prospettive, la proposta di un progetto spirituale e allo stesso tempo umano, proprio della comunità, può aiutarli a scoprire e a sviluppare le loro possibilità creative personali e a intraprendere con impeto un cammino di speranza che dall'immanente passi al trascendente.
Dal sapere alla sapienza, dalla debolezza alla virtù, dal creato a Dio.

Sono ben consapevole che in queste proposte c'è una forte dimensione di utopia. Confesso anche che ciò che ho detto, nei migliori dei casi, è il primo paragrafo di una grande revisione degli schemi attuali dei nostri monasteri, dove, a volte, le faccende quotidiane di casa esauriscono le nostre forze. È un progetto che andrebbe specificato punto per punto, cominciando dalle prime conseguenze che comporta, seguendolo dettagliatamente fino alle ultime ( ... ).
Ritorniamo allo scriptorium monastico, al contatto con il sapere nel senso della tradizione biblica.
Come i monasteri del medioevo in mezzo a una società ignara del mondo classico, i monaci oggi possono conservare e far conoscere i valori di un sapere che arricchisce lo spirito e proporre un'interpretazione, sia pure approssimativa, delle culture e delle civiltà del passato, soprattutto del patrimonio della Scrittura, della fede, della teologia ...
Sono valori che saranno riscoperti e apprezzati da quelle generazioni che dopo le cose frenetiche che si annunciano, avranno bisogno di un'autoconversione per ritornare nel campo gravitazionale umano dal quale ora le generazioni presenti si allontanano.

(RUDOLF PFEIFFER, Humanitas Benedectina in ID., Ausgewahlte Schriften, Munchen MCMLX, p. 175)

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