La Ricerca - Abbazia Benedettina di Finalpia

Abbazia Benedettina Finalpia
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Abbiamo finora parlato del lato A del Portale, quel lato che guarda verso sud, cioè quello aperto verso quello spazio aperto per secoli alla popolazione e che – con passare del tempo – diventerà poi il Primo chiostro.
Il libero accesso a questo spazio era dettato dalla consuetudine della gente di attingere ad un particolare pozzo (poi eliminato) noto per la speciale bontà della vena d’acqua che vi si trovava.
Come si dice che una ciliegia tira l’altra, così avvenne che parlando del lato A del Portale anche noi abbiamo finito di lasciarci trascinare a parlare di alcune particolarità del nostro monastero, che ci hanno intrattenuto per qualche settimana.
L’ultimo argomento, del quale stavamo parlando, riguardava l’accesso all’edificio dell’Abbazia dall’attuale Piazza Abbazia.
Lo riprenderemo a tempo debito, ma ora ci preme concludere  con il lato B del Portale, quello che guarda verso nord.

Il lato nord è invece squisitamente monastico, perché riservato alla vita della Comunità dei monaci e fin dalle origini è stato, di per sé, riservato alla clausura monastica.
Qui non vi troviamo più san Gerolamo, la Madonna di Pia e san Benedetto.
Tanto meno vi troveremo dei rimandi alla mitologia antica (toro, leone, o addirittura  una Furia, con tanto di serpi come capigliatura), figure evocate spesso nelle opere rinascimentali (il nostro portale è del 1522, come attesta la data che vi è incisa nell’intradosso, che – errando – non raramente viene letto 1577.
Fra' Angelo di Albenga, che lo fece erigere, parla nella sua autobiografia dell'inaugurazione e benedizione di quest'opera avvenuta nel 1522. Per inciso, si ricorda che Fra' Angelo di Albenga morì nel 1534 e che molto difficilmente avrebbe potuto partecipare ad una funzione di benedizione nel 1577.

Invece della mitologia, nel lato B di questo portale, compaiono due solidi testi epigrafici, in latino medievale, tratti dai Decretali di Innocenzo III.
Nella storia della Chiesa, furono chiamate decretali le costituzioni di carattere generale emanate dai pontefici, che, redatte in forma di lettera, contenevano spesso norme giuridiche e avevano forza obbligatoria per tutti i fedeli, salvo ben precisati casi.
Riunite in tre raccolte ufficiali dai papi Gregorio IX, Bonifacio VIII e Clemente V, le decretali entrarono poi a far parte del Corpus iuris canonici. Il papa San Pio X volle difatti raccogliere in un testo unico la legislazione ecclesiastica (ordinariamente detta Codex Iuris Canonici), ma il testo fu pubblicato solo nel 1917 da Benedetto XV e fu intitolato Codice Piano Benedettino, dai nomi dei due papi che lo realizzarono (Pio X e Benedetto XV).  L’usura del tempo ha reso quasi illeggibili questi due nostri testi epigrafici, ma con un po’ di buona volontà si possono decifrare e (quel che più conta) cogliervi la serietà e lo splendore unico della vita monastica, che nemmeno un Sommo pontefice può manomettere, senza correre il rischio di spegnerla.
Oggi sottoponiamo alla v/s cortese attenzione i due testi epigrafici che si trovano alla base dei due stipiti del Portale. Confidiamo di trovare, nelle prossime settimane, tempo e spazio per illustrarvi i tesori che Innocenzo III, nella scia della tradizione monastica vi ha disseminato (più che nascosto).




Passo dopo passo abbiamo visto i due apparentemente ingarbugliati testi epigrafici, che si trovano alla base degli stipiti sinistro (ad est) e destro (ad ovest) del lato nord del portale, trasformarsi in più facilmente leggibili testi latini.
Chi è abituato a vedere la nettezza e la precisione dei testi geroglifici egiziani scolpiti da migliaia di anni nei monumenti di quel paese, che in fotografie e video ad alta definizione, ci vengono offerti nelle pubblicazioni e sugli schermi moderni, può rimanere deluso dalla rozzezza delle nostre due epigrafi.
Ma qui siamo di fronte a prodotti di culture completamente differenti e – soprattutto – al fatto che ognuno fa fuoco con la legna che ha a disposizione.
La pietra del Finale è ottima per tanti lavori, ma non per tutti.
È comunque ammirevole che, in questo caso, per 5 secoli ci abbia conservato qualche tratto della nostra cultura.
Ma questi testi latini che cosa ci vogliono mai dire?
Prima di proseguire nel commento di questi testi sento il dovere esprimere un sentito grazie al P. Abate Umberto BEDA, che durante il suo Priorato a Finalpia si è efficacemente interessato a questi testi. Quando lo conobbi al Sacro Speco di Subiaco nel 1999, l’allora P. Beda (non ancora Abate) era Direttore dell’importante Biblioteca Statale del Monastero di Santa Scolastica a Subiaco. Fu lui, grazie alla sua professionalità di competente Direttore di biblioteca, a ricuperare in internet un volume che conteneva i nostri due testi, che quindi furono più facilmente letti.
Grazie a don Beda non solo si rinvenne il volume che si cercava ma – e sempre solo on line – si riuscì anche a identificare ed a consultare le pagine che ci interessavano.
Difatti lo stile epigrafico della scrittura, l’usura del tempo e l’incuria degli uomini rendevano, in alcuni punti, problematica l’esatta ortografia dello scritto riportato nella Pietra del Finale, con la quale era stato realizzato il nostro Portale.
TESTI COMPLETI E RICOSTRUITI
(I TESTI EPIGRAFICI USANO ACCORGIMENTI - IN PARTICOLARE ABBREVIAZIONI - DI NON FACILE LETTURA)

1)- DE STATV MONACHOR(UM)  CVM AD M(ONACHORUM) ABDICATIO(NEM) PROPRIETATIS SICUT ET CUSTODIA(M) CASTITATIS

2)-ADEO E(ST) ADNEXA REGULAE MONACHALI UT CONTRA EAM NEC SUM(M)US PONTIFEX POSSIT LICENTIAM (I)NDULGERE
*NOTA
-IN
BLU IL TESTO ALLA BASE DELLO STIPITE DEL LATO EST  (a sinistra)
-IN ROSSO IL TESTO ALLA BASE DELLO STIPITE DEL LATO OVEST (a destra)

TRADUZIONE
1)-CIRCA LO STATO DEI MONACI, A PROPOSITO DELLA LORO RINUNCIA ALLA PROPRIETÀ E DELLA CUSTODIA DELLA CASTITÀ.

2)-È COSÌ ANNESSA ALLA REGOLA MONASTICA CHE NEMMENO IL SOMMO PONTEFICE PUÒ CONCEDERNE LA DISPENSA.
COMMENTO
1)- LA RINUNCIA DELLA PROPRIETÀ COME LA CUSTODIA DELLA CASTITÀ
Non pochi saggi e filosofi della nostra civiltà greco/romana, rinunciavano alla proprietà dei beni di questo mondo, perché ritenuti superflui.
È noto che Diogene di Sinope (412 a.C. circa – 323 a. C.), detto il Cinico (quello famoso per aver scelto di vivere in una comune botte) abbia rinunciato alla ciotola di legno che usava per bere l’acqua dopo aver notato un fanciullo che la beveva con le mani.
In questo Decretale, il Papa Innocenzo III non sta parlando della castità matrimoniale, ma della castità monastica, che comporta la totale continenza sessuale.
Nel mondo occidentale questa castità non era considerata un valore, tantomeno nel mondo ufficiale giudaico, dove era anzi onorata la prolificità, nell'attesa della sperata nascita del Messia.
Per vederla valorizzata e praticata ci si sarebbe dovuti accostare al mondo asiatico indù e buddista.
È noto che il Mahatma Gandhi, d’accordo con la propria moglie, tentò più volte di vivere continente, ma invano. Persistendo in questo proposito raggiunsero la felicità di riuscirvi.

Quindi nella rinuncia alla proprietà il Papa includeva anche un impegno da parte
del monaco a rinunciare alla gestione del proprio corpo, secondo le parole di san Paolo "Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale" (Rom 12, 1).

Questa rinuncia fa brillare di una scintillante luce profetica l'impegno del monaco, come traspare dalle parole di Gesù relative alla Risurrezione finale: Quando risorgeranno dai morti, infatti, non prenderanno né moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli.” (Mc 12, 25).
Mentre poi
S. Paolo ci rivelerà che il vero amore (Charitas), quello che lega in questo mondo i cristiani e le famiglie cristiane, non finirà mai (1Cor 13, 13).

Occorre, però, tener sempre presente che Gesù ha in grande considerazione l’unione matrimoniale, come traspare dalla sua partecipazione alle nozze di Cana, dove ne aumentò l’allegria con il noto miracolo dell’ottimo vino donato.

2)- È COSÌ ANNESSA ALLA REGOLA MONASTICA CHE NEMMENO IL SOMMO PONTEFICE PUÒ CONCEDERNE LA DISPENSA.
Qui Innocenzo III ribadisce che, per i monaci e le monache, la rinuncia alla proprietà include anche la castità monastica, tanto che nemmeno un Papa può dispensare.

CONCLUSIONE  
Siamo finalmente giunti alla conclusione del commento del contenuto delle due epigrafi (lapidi) che si trovano alla base dei due stipiti del lato nord del Portale rinascimentale (1522), che introduce dal Primo chiostro nel Secondo.
Abbiamo verificato che i testi sono tratti da importanti disposizioni (decretali) di Innocenzo III.
Abbiamo sciolto i testi scritti in un latino epigrafico ed usurati dal tempo e dall’incuria umana, riconducendoli ad un latino di più facile comprensione ed abbiamo svelato il fulgido tesoro che contengono.
Per poter svelare tale tesoro abbiamo lavorato per alcune settimane, con correzioni, puntualizzazioni e ripensamenti, come può constatare chi ci ha seguiti fedelmente ed ora affidiamo la conclusione di questo lavoro alle stesse parole di Innocenzo III: La rinuncia della proprietà come la custodia della castità è così annessa alla regola monastica che nemmeno il Sommo pontefice può concederne la dispensa; tanto che la dispensa su questi punti – anche se concessa da un Papa – rischierebbe di spegnere la luminosa vita di circa 2000 anni del nostro monachesimo.

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